Paolo Sambuceti nasce a Cogorno con il gemello Andrea il 30 settembre 1957. A dieci anni entrambi entrano nel vivaio dell’Unione e compiono tutta la trafila che li porta ad esordire in Prima Squadra durante il campionato 1973-74.
Sono ragazzi applicati, che imparano in fretta: fisici longilinei, quasi impossibile distinguere il casco di riccioli dei due, al punto che qualche dirigente pensa di metterne nella distinta uno quando l’altro è squalificato. Paolo fa il mediano davanti al fratello terzino e nella finale regionale Allievi un suo gol dalla bandierina del calcio d’angolo regala l’accesso alla fase nazionale: “Arrivammo a Bari in treno… quando vedemmo le altre squadre allenarsi, ci rendemmo conto di non avere una tuta di ordinanza… Fummo eliminati dopo la prima partita e, siccome c’era la prenotazione in albergo, passammo gli altri giorni a visitare la Puglia” dice Paolo. Nel 1975-76 la vittoria in 1.a Categoria con un altro Sambuceti (Franco) e il raggiungimento della fase finale Juniores a Chianciano, dopo aver conquistato il titolo regionale, sconfiggendo il Vado ai rigori (entrambi i gemelli a segno).
Poi l’allenatore Pattaro manda Paolo a “farsi le ossa” al Fontanabuona: al suo rientro l’anno dopo trova una squadra allo sbando, che neanche il continuo valzer in panchina permette di salvare dalla retrocessione. Si riparte dalla 1.a Categoria e intanto sono cambiate la dirigenza e le priorità. Andrea gioca sempre meno e decide suo malgrado di lasciare la Lavagnese, ma il binomio inscindibile tra i binelli non si rompe, anzi. Da studenti in Economia e Commercio girano il Nord-Ovest come rappresentanti di capi di abbigliamento e coi proventi incassati si accingono ad avviare l’attività di consulenti finanziari.
Intanto dopo la gestione Visani (“ci dava le pagelle della gara della domenica a fine allenamento e a maggio risultai il migliore…”), con l’arrivo in panchina di Gianfranco Rota, i bianconeri tornano in Promozione e lottano con la Busallese per salire in Interregionale. “Gian Rota era severo, ma forse fu il mio migliore mister: aveva cultura calcistica, creò un ambiente di amici che lottavano per un unico scopo”, aggiunge Paolo.
Si specializza come uomo di fatica, viene dirottato sul dieci avversario o per coprire la fascia destra e servire in area gli attaccanti innescato dagli inviti di Semenza, va a colpire di testa nelle mischie e sui rilanci del portiere.
Non è una prima firma della rosa (“Non pesavo granché sul bilancio, solo un premio in base ai punti conquistati”), ma quando manca lui, la squadra ne risente in compattezza. Scala le gerarchie, gli vengono riconosciuti rispetto e correttezza e dal 1984 scende in campo con la fascia da capitano. Chiude con l’Unione nel 1985-86, con all’attivo 271 partite di campionato; intanto è già da tempo consigliere comunale a Cogorno, passa agli Ex Allievi CAP, ma interrompe l’attività agonistica dopo qualche mese per stare più vicino alla famiglia.
Parecchi anni sono passati, ma ha continuato a seguire il calcio dilettantistico (suo nipote è il difensore Tommaso Sanguineti). Oggi più che mai nota le differenze: “i ragazzi giocano su campi perfetti e hanno tutti un pallone, ai miei tempi dovevo pulire e ingrassare le scarpe prima di ogni partita…. Nanni Raffo passava l’aratro sul campo per togliere le asperità e le orme secche. In settimana un pallone, spesso neanche regolare, doveva bastare per scaldarci in dieci, quello migliore non lo vedevamo mai, solo alla domenica…”.
Articolo, interviste e foto a cura di Gianluigi Raffo
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