Se ogni squadra ha una bestia nera, la Lavagnese degli Anni Ottanta la trovò addirittura negli spogliatoi del “Riboli” sotto le sembianze…. di una pantera stilizzata. Era la Fossese, fondata a Lavagna nell’aprile 1978 riadottando i colori rossoneri della stessa compagine cittadina che aveva fatto una breve comparsa nelle categorie provinciali del Dopoguerra. Nello stemma un profilo felino, forse a preconizzare un periodo di sofferenza (1983-89) per i colori bianconeri, spodestati a più riprese nella lotta al primato cittadino, fino alla fusione avvenuta nel 1990.
La neonata società elesse come sede Corso Genova 130 e punto di ritrovo il Bar Ostigoni di Piazza Vittorio Veneto (zona attuale Prodet) e nel giro di un quinquennio approdò in Promozione, guidata dall’allenatore Ivo Pattaro, fino ad allora totem bianconero indiscusso.
Le due sconfitte 0-3 nel primo campionato e il secondo posto in classifica dei rossoneri esasperarono gli animi, sia per la difficile stagione dell’Unione (risicata salvezza dopo l’esonero di Torrini), sia perché le due società lavoravano gomito a gomito negli spazi angusti del campo sportivo. Il coinvolgimento di dirigenti e tecnici fu inevitabile: la rivalità, con annessi i sentimenti di rivalsa e di tradimento, si trascinò negli anni successivi anche nel settore giovanile. La città stessa si guardò allo specchio scoprendosi per la prima volta divisa: da una parte, i paladini lavagnini (definitisi lo zoccolo durodella Beiga), per i quali Lavagna sarebbe stata solo e sempre bianconera; dall’altra i “rivoluzionari” rossoneri pronti a dare scacco al re, sostenuti anche dalle idee e dalla passione di imprenditori giunti nel Tigullio qualche decennio prima.
La stracittadina divenne l’evento clou della stagione: chi ne giovò fu senz’altro il cassiere, che vide dopo vent’anni affluire allo stadio due-tremila spettatori, tra i quali due nutrite schiere di “ultras” con bandieroni, mortaretti e fumogeni. Lo spettacolo sugli spalti risultava assai superiore a quello in campo: tranne qualche eccezione, due squadre tese diedero vita a gare scialbe e spezzettate, dominate dalla paura di non perdere e pronte ad alzare il livello dello scontro fisico alla prima azione controversa non fischiata dall’arbitro.
La Lavagnese pativa più degli avversari: dopo sette stracittadine senza lo straccio di un gol, il primo acuto bianconero di Paolo Rossi su punizione (3 maggio 1987) parve rompere l’incantesimo e portare due punti utili per la salvezza. Macchè, cinque minuti dopo Bottari ristabilì la parità. Stessa successione l’anno dopo con Argenziano a rintuzzare immediatamente il drop di destro di Pappacoda. Una maledizione. Il campionato si chiuse però per la prima volta con i bianconeri a guardare dall’alto i rivali, che si unirono qualche mese dopo alla sezione calcio della S.S. Cavese, fondando la Cavese Fossese.
La nuova pantera su sfondo giallo-blu puntava all’Interregionale e partì nel 1988 in testa con il Rapallo Ruentes, mentre la Lavagnese di Odasso andò incontro ad una stagione altalenante, con polemiche seguite all’allontanamento per motivi disciplinari di Fornaro e Vittore Costa. Reduce da due punti in 7 match, l’Unione si presentò al derby di ritorno, previsto al “Sivori” di Sestri Levante per la squalifica del campo dei rivali, con un disperato bisogno di punti. Era il 25 febbraio 1989: la Cavese Fossese di Stoppino, squadra impenetrabile con la migliore difesa del campionato, lottava ancora per la vetta. Ne uscì una partita da derby, fuori da ogni logica, con i bianconeri pronti con grinta e determinazione a rintuzzare i più quotati avversari e ad affondare i colpi con la coppia Bernardi-Brustia. Finì con un incredibile 4-1: “Edo” Bernardi, il figlio del presidente Mario, fu il mattatore di giornata che sfatò un tabù pesante come un macigno. E a fine campionato sarebbe intervenuta la fusione…
Articolo, interviste e foto a cura di Gianluigi Raffo
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