A dispetto degli anni che passano e sembrano sbiadire il ricordo dei grandi personaggi dell’Unione, resta fulgida la stella di Beppino “Lello” Gatti, il grande attaccante cresciuto accanto ai pionieri cittadini e diventato trascinatore della squadra di Serie C del Dopoguerra.
Nato a Lavagna il 5 giugno 1910, si appassionò presto al nuovo sport che aveva preso piede in città con la fondazione dell’U.S. Lavagnese facendosi coinvolgere dall’entusiasta gruppo di ragazzi della sezione football impegnato nei Tornei U.L.I.C. del Tigullio. La libertà organizzativa di tali manifestazioni permise a “Lello” di cimentarsi subito con i più grandi e da quattordicenne partecipò al Torneo Popolare: i bianconeri non solo vinsero, ma si laurearono campioni tosco-liguri, giocandosi a Savona lo spareggio contro l’Alta Italia Cuneo che dava diritto ad accedere alla fase finale di Milano.
Le imprese di quell’ala precocemente sbocciata nella Beiga colpirono l’attenzione della dirigenza dell’Entella (1927), che ne curò la crescita fisica e tecnica, fino a farla diventare un pilastro, con fascia da capitano, degli allora “diavoli neri” in Serie C.
Giocatore di media statura ma potente, con una battuta di tiro devastante, resa ancora più letale dall’affinamento nei calci piazzati, nel 1937 lasciò Chiavari con la fama di goleador implacabile (ancora attualmente detiene il record all-time di 100 reti segnate in campionato). Il servizio di leva e un infortunio ne impedirono l’esordio nello Spezia in B e con l’avvicinarsi del secondo conflitto mondiale tornò nella sua Lavagna, finalmente dotata di un campo da gioco, per guidare la “Polisportiva Fascista Vittorio Podestà”, primo sodalizio cittadino (rigorosamente in maglia bianconera) a partecipare ad un campionato della F.I.G.C.
Partì per il fronte, dove fu fatto prigioniero, e al ritorno si unì nei pochi momenti di spensieratezza a “Los Pibes”, una squadra di giovani appassionati allestita da Silvio e Carlo Vaccarezza, figli di un socio della Superball Vis, che forniva loro scarpe da gioco e palloni. Terminata la guerra, fu promotore della rinascita del club bianconero, che riprese la sua denominazione originale e si iscrisse alla Prima Divisione, trovando l’adesione, in un clima di entusiasmo, di un centinaio di soci. Con Aldo Zucchero allestì una rosa di tutto rispetto, conducendo da capitano e a suon di gol i bianconeri al terzo posto nel campionato di Serie C 1947-48.
Leader indiscusso, corretto in campo, esortava i compagni con incitazioni in dialetto. Giocò in bianconero fino al 1950, totalizzando un’ottantina di reti: negli ultimi anni ridusse le discese sulla fascia, venne esonerato dal rientro in copertura, si propose invece con maggior costanza in fase di rifinitura restando tuttavia efficace nella battuta di calci di rigore e di punizione.
Restò legato all’Unione, ma gli impegni erano ormai diventati altri: mise su famiglia e gestì una merceria in Via Roma con la sorella. E’ scomparso il 22 giugno 1980, ma il suo mito, nato nell’epoca in cui Felice Levratto terrorizzava i portieri e spaccava le reti, resta vivido, come testimoniato dall’inno del club di “Fessüa”.
Articolo, interviste e foto a cura di Gianluigi Raffo
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