
“Puoi arrivare a giocare a quarant’anni se fai sempre le cose per bene in allenamento, nella dieta e integri con la palestra. E ci vuole un po’ di fortuna con gli infortuni..”. E’ questa la ricetta che ha permesso a Simone Garrasi, nato a Genova il 28 maggio 1985, di giocare a calcio per lungo tempo, ad inizio carriera nei professionisti, successivamente nei dilettanti, dove ha vestito tra il 2009 e il 2016 la casacca bianconera.
La sua storia sportiva nasce nella Sampdoria, dove a nove anni viene iscritto nel settore giovanile. E’ un ragazzo spigliato che ha gamba, rapido anche ad apprendere i fondamentali ed in blucerchiato compie tutta la trafila, il tempo necessario insomma per tentare dopo il diploma l’ascesa nel calcio che conta. Impostato come esterno alto nella linea dei cinque, trova posto anche in difesa come gagliardo terzino sull’ala avversaria e pronto a ribaltare l’azione. Tutti compiti, quando eseguiti a modo, tutt’altro che semplici per gli equilibri di una squadra.
Nel 2004-05 va al Foligno e vince la Serie D da protagonista, quindi dopo una salvezza in C2 un altro grande campionato che proietta gli umbri in C1. La scalata sembra continuare, ma Garrasi non rientra nei progetti del neo-allenatore Pierpaolo Bisoli e si ritrova, pur tra molte richieste, a Rieti a lottare in Serie D: “E’ andata così, però tutte piazze molto importanti… grande calore nei miei confronti e se perdevi una o due partite, ti ritrovavi i tifosi agli allenamenti…”. Sfumato il passaggio al Castelnuovo Garfagnana in C2, torna in Liguria alla Sestrese.
Nel 2009 c’è aria di smobilitazione in casa verdestellata: partito Gallotti, anche Alessi ha fatto le valigie e Simone a dicembre accetta la proposta della Lavagnese. Alla corte di Dagnino, il cui esordio sulla panchina bianconera si è rivelato più complicato del previsto, arrivano prima di Natale anche Piacentini e la punta Perrone. La squadra cambia volto: Garrasi si integra velocemente nel gruppo, diventa un titolare inamovibile, segnando già dopo poche giornate un fondamentale gol a Roisan nello scontro diretto con la Vallée d’Aoste: “sentivo grande stima da parte del mister, mi schierava sempre. Molti allenatori nel mio ruolo avrebbero inserito dei ragazzi, lui no. Facevo bene le due fasi, pochi discorsi negli spogliatoi e forte presenza in campo, nelle giocate e negli atteggiamenti”.

A fine stagione il primo rinnovo, a cui ne seguiranno altri. I bianconeri aprono un ciclo, lottando stabilmente per i vertici della graduatoria. “Non c’era il fuoriclasse, eravamo una buona squadra. Lavagna ti permette di giocare senza particolari pressioni e con i risultati crescevamo in consapevolezza”. Quattro playoff memorabili, come quelli del 2012, culminati con la sfida al Cosenza e inaugurati dalla rete di Chieri segnata allo scadere, grazie ad una deviazione di testa sul secondo palo. “Non sono alto, ma avevo buon tempo sulla palla e negli inserimenti, così riuscivo a posizionarmi, approfittando di qualche blanda marcatura”.

Molti avversari incontrati e un ricordo particolare per Carlos França: “Quando era al Chiavari Calcio Caperana lo mettevano spesso dalla mia parte, esterno offensivo. Ne uscivano grandi duelli, aveva fisicità e un bel passo, ma presi atto realmente di quanto fosse forte quando arrivò da noi”.

Al termine della stagione 2015-16, dopo 232 presenze e 13 reti, lascia la Lavagnese contemporaneamente all’allenatore Dagnino e comincia a girovagare tra Eccellenza e Promozione. Si sposta negli ultimi anni al centro della difesa a dispensare consigli ai compagni: Moconesi, Rivarolese, Rivasamba, Rapallo Ruentes, Golfo Paradiso e infine Caperanese, crepuscolo di una carriera chiusa all’alba dei quarant’anni e difficile da eguagliare senza una così grande professionalità. Attualmente è allenatore del settore giovanile del Rivasamba.

Articolo, interviste e foto a cura di Gianluigi Raffo
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